36 37 Il corpo e il riparo: diritto all’acqua e arte contemporanea. Conversazione con Gian Maria Tosatti Fabiola Triolo L’arte contemporanea è il regno del simbolo, e sovrana del simbolo è la metafora. È sul solco di una metafora che Ossigeno è oggi grato a Gian Maria Tosatti (Roma, 1980, vive e lavora a Napoli) per avere accolto l’invito a camminare tra queste pagine sulla traccia di un terreno fertile: quella della metafora tra arte e acqua. Arte vivifica, come l’acqua. Plastica come l’acqua. Potente come l’acqua. Diritto alla libertà dell’arte, come libera è – o dovrebbe essere – l’acqua. È in nome della potenza simbolica e prismatica dell’acqua che i più grandi artisti contemporanei hanno irrorato e sommerso le proprie opere, ma l’avere scelto Gian Maria Tosatti – cui, nel 2022, l’Italia ha affidato entrambe le sue più grandi istituzioni artistiche, la Biennale di Venezia e la �uadriennale di Roma – come faro, per indagare la protezione che l’arte contemporanea mette in atto rispetto al diritto universale all’acqua, trascende la forma e coinvolge l’essenza: al di là del significativo impiego, poetico e simbolico, dell’elemento acquatico nella sua arte, Gian Maria Tosatti è un corpo d’acqua. Mi spiego. H2O, due parti di idrogeno e una di ossigeno, per dare vita al composto che per antonomasia dà la vita. Diplomatosi in Regia, laureatosi in Lettere Moderne, artista, saggista, critico ed editorialista culturale, la sua struttura, come quella dell’acqua, è composita. Ma non solo. Tratta dal sito di un tempio internazionale dell’arte contemporanea quale è il Pirelli HangarBicocca: «La pratica dell’artista italiano Gian Maria Tosatti è incentrata sui concetti di identità, collettività e memoria, nella loro valenza storica, politica e spirituale. Svolgendo lunghe e articolate ricerche, e attingendo liberamente al linguaggio delle arti visive, della performance e dell’architettura, Tosatti realizza grandi installazioni site-specific, spesso concepite per interi edifici o aree urbane e destinate a durare per lunghi periodi di tempo. Il suo lavoro coinvolge inoltre le comunità connesse ai luoghi in cui le opere, spesso contraddistinte da una forte ciclicità, prendono corpo». Ciclicità. Attingimento. Permeabilità. Collettività. Fluidità. Durata. Anche la sua biografia ufficiale possiede i caratteri dell’acqua. E ancora: l’immaginario è la fonte primaria da cui l’artista attinge per dare corpo alla propria visione, e in un suo editoriale del 2009 per quell’inciampo luminoso che è stato La Differenza – pubblicazione culturale di cui è stato genitore, prima che direttore – Tosatti scrive: «L’immaginario è un mondo molle, di mercurio, attraversabile, rapido, sfuggente, liquido, fatto di desideri e paure. Eppure talvolta entrare nel mondo dell’immaginario, attraversarlo, diventa un passaggio obbligato per proseguire in una certa direzione, per poter veramente andare oltre. L’immaginario diventa il fiume che si deve superare a nuoto». Con la consapevolezza del valore prezioso dell’acqua, e con la volontà dello scardinamento di luoghi comuni pregiudicanti, posso dire che tanto l’opera quanto l’immaginario di Gian Maria Tosatti fanno acqua: generano e nutrono. E da calabrese che vive sul mare, in una Calabria che sa di quella Napoli che Tosatti ha scelto come casa, sono altrettanto consapevole che un corpo d’acqua ha bisogno di acqua. È ciò che mi conferma lui stesso: «Nel 2013 ho iniziato un progetto a Napoli che si chiamava Sette Stagioni dello Spirito. Tre anni di lavoro di grande intensità. Mi spostai lì da New York, la città in cui vivevo. Peppe Morra, grande mecenate, mi mise a disposizione una casa che aveva due stanze. Una era lo studio in cui avrei dovuto lavorare. Aveva finestre piccole, posizionate molto in alto, quasi non si riusciva a veder fuori. Si vedeva solo il cielo. L’altra stanza era la camera da letto, con sei grandi finestre, da cielo a terra. Affacciavano tutte sul golfo di Napoli. In basso la città. Di fronte il mare. A tutto campo. Senza niente che me lo coprisse. Di notte, la luce del faro mi veniva a cercare negli angoli. Finito il progetto, nel 2016 me ne tornai stabilmente a New York, ma due anni dopo decisi di ritornare a vivere a Napoli, di stabilire lì il mio studio. E decisi che lo avrei fatto solo se avessi trovato un’altra casa dalle cui finestre si vedesse il mare. Così fu». C’è ancora un motivo per cui Gian Maria Tosatti può farsi testimone del rapporto tra arte contemporanea e acqua, e risiede in quella similarità tra il suo modo di lavorare e quello che Leonardo chiamò sangue della Terra, tra mare, cielo e suolo, tra evaporazione, condensazione, precipitazione e infiltrazione: è il ciclo dell’acqua, ed è semplicemente vitale. Una delle costanti dell’opera di Tosatti è proprio quella di lavorare per cicli. Romanzi visivi, sono stati spesso definiti, capitoli consequenziali che compongono un unico, potente ritratto. Sulla doppia natura umana, trascendente e terrena, in Devozioni (2005-2011). Sul rapporto con lo spazio, in Landscapes (2006-2011), e con la memoria, in Le considerazioni sugli intenti della mia prima comunione restano lettera morta (2009-2014). Sulla solitudine aliena che sfocia dalle promesse mancate di New York, città in cui ha vissuto per
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