Ossigeno

#pop-up chef _ going deeper a cura di Stefano Santangelo web e workshops in ogni angolo del globo - per diffondere il nuovo verbo. Redzepi crede che tutti dovrebbero essere foragers , e concepisce il suo Vild Mad come strumento per decodificare il paesaggio e le sue potenzialità culinarie. C’è poi chi ha fatto del foraging parte integrante della propria vita e l’ha applicato a discipline apparentemente lontane tra loro, come l’artista performativo e chef australiano Andrew Rewald, il quale dal 2011 ha portato avanti molteplici progetti in Paesi come Islanda, Giappone, Malesia, Germania e Australia, seguendo i ritmi di riproduzione delle piante locali in una lunga opera di raccolta e di studio dei valori specifici di ambienti selvaggi, così come di quelli fortemente antropizzati. Un lavoro che passa poi dalla raccolta alla preparazione e condivisione dei cibi, come spettacolo interattivo ed esperienza sociale. È l’esperienza condivisa sia parte del percorso che punto d’arrivo, con tour che prevedono di insegnare ai neofiti del culto il riconoscimento della flora selvatica commestibile tanto in micro- quanto in macrosistemi urbani. Il fenomeno infatti ha, come era prevedibile, non solo portata globale, ma ha da tempo anche esondato il suo alveo naturale, fatto di ecosistemi protetti, per invadere il bioma urbano, e assunto in questo caso il nome di urban foraging. Prede dell’urban foraging sono, ancora una volta, le antenate di quelle che affollano i nostri campi, come legionari disciplinati e schierati dalla parte della nostra collettiva battaglia al sostentamento alimentare, ma anche sofisticate versioni erbacee figlie della manipolazione umana, per lo più sfruttate a scopi ornamentali. Dalle piante tenaci che crescono nei cantieri sino a quelle che popolano le nostre personali versioni della nostalgia del paradiso , i parchi urbani, l’urban foraging ci restituisce un quadro chiaro di cosa sia “selvatico” e di cosa siamo noi stessi, animali ormai estranei al nostro stesso ecosistema. Lungi dall’essere sotto l’ascendente di una moda passeggera, la comunità acquisitiva degli urban foragers ha i suoi siti di riferimento, tra i quali spicca mundraub.org [in lingua tedesca, ma dalla navigazione decisamente intuitiva] che fornisce una mappa dettagliata dell’ Europa da mangiare , nella quale è possibile trovare la geolocalizzazione di tutti gli alberi e arbusti da frutta cittadini, e che in alcune località riesce a raggiungere la mappatura completa di ogni strada e parco. Rallentando il passo verso un indefinito orizzonte del progresso, quindi, i cacciatori/raccoglitori del Ventunesimo secolo si sono resi conto, e ce ne fanno partecipi, che la selva che cercavamo di diradare per sopravvivere è essa stessa la sopravvivenza. Forse la più ricorrente delle costanti della storia umana è il voltarsi di tanto in tanto a guardare il percorso fatto mentre si procede in avanti, provare curiosità per ciò che si è abbandonato, farne un antidoto all’ansia del presente. Anche il nostro secolo non poteva quindi non avere il suo ritorno alle origini, che nel decennio in cui viviamo - vera età aurea dell’arte culinaria, segnata da un entusiastico interesse per il cibo e le sue multiformi elaborazioni - ha significato la rinascita del foraging, anglismo che nasconde la mai abbandonata pratica di prendere direttamente dalla natura agreste ciò che manca sulla tavola. A rischiarare il sottobosco di questa pratica è l’alimurgia, ovvero la scienza dell'alimentarsi di tutto ciò che non abbiamo voluto o saputo piegare ai diktat dell’oligarchia imperante di agricoltura/industria - perché, nonostante il foraging sia una pratica aperta a tutti, la conoscenza base delle piante e degli altri esseri viventi degli ecosistemi nostrani è essenziale ad evitare prevedibili danni collaterali, mentre a livelli avanzati diventa imprescindibile strumento per raffinati chef-alchimisti. Una summa di forze spinge i moderni raccoglitori ad affidarsi nuovamente alla natura per integrare l’alimentazione moderna, e tra queste ci sono sicuramente tanto il desiderio di ingerire cibo privo, auspicabilmente, di contaminazioni e ad impatto zero per l’ecosistema, quanto la ricerca di nuovi ingredienti per la cucina contemporanea, sempre affamata di sperimentazione. Il foraging, quindi, come evoluzione dell’antica tradizione di raccogliere frutti, piante e animali [il termine comprende infatti anche la cattura di molluschi e pesci], come integrazione ai prodotti coltivati in campo, ma anche come esperienza di conoscenza dell’ambiente stesso. Chi ha fatto propria questa pratica, infatti, agisce in conseguenza di una passione per l’esplorazione di spazi naturali, o ne viene di riflesso fortemente influenzato: un atto di conoscenza che termina nel rispetto dell’elemento naturale e del suo spirito. “ Mangiare il paesaggio ” diventa quindi talvolta un modo di fare propria la cosa, come nell’ancestrale credenza che portava i nostri antenati a presumere di assumere parte dello spirito di ciò di cui si nutrivano. È così che alcuni moderni raccoglitori finiscono per mutare, metaforicamente parlando, in teste arcimboldesche, nuovi Sacerdoti della Natura. Al di là del talento di Valeria Margherita Mosca, prestigiosa Pop-Up Chef per questo numero di Ossigeno, per comprendere ulteriormente la portata del fenomeno è sufficiente citare René Redzepi, chef di Noma, ristorante danese fregiato di due Stelle Michelin e designato migliore al mondo per ben quattro volte, che con il progetto Vild Mad [in danese, cibo selvaggio ] propone una risorsa pubblica - fruibile a chiunque attraverso un’app dedicata, il suo sito degustare il paesaggio: l’arte del foraging «Il dominio dell’uomo consiste solo nella conoscenza. L’uomo tanto può quanto sa. La natura non si vince se non obbedendole»ˡ ˡ Francis Bacon, Pensieri e conclusioni sulla interpretazione della Natura o sulla scienza operativa [1607-1609], in Scritti Filosofici - a cura di Paolo Rossi, UTET, 1975 p o p - u p c h e f _ g o i n g d e e p e r p o p - u p c h e f _ g o i n g d e e p e r 22 23

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