Ossigeno
82 83 i n f e r m e n t o i n f e r m e n t #in fermento a cura di Stefano Santangelo trilogia scandinava della fermentazione ittica Di alchimie norrene e trasmutazioni del gusto Piegare la materia per darle la forma dei nostri desideri e delle nostre esigenze fondamentali è nella natura stessa dell’uomo. Generata da una costola di questo istinto naturale è l’alchimia, sistema filosofico e scienza esoterica che aveva lo scopo di tramutare in positivo ciò che per l’uomo è negativo: nel caso specifico, il piombo in oro. In relazione a certi cibi, il legame con l’alchimia è suggestivo quanto involontario. Era il 1601 quando un grosso squalo veniva tirato a riva nell'insediamento di Asparvík, a nord del fiordo di Bjarnarfjörður, Islanda, e lasciato marcire sul posto, finché qualcuno pensò bene di appenderlo ad essiccare all’aria – pratica, questa, largamente diffusa sull’isola per preservare carne e pesce. La natura velenosa della carne dello squalo l’aveva sino ad allora tenuto lontano dalle ben poco selettive tavole islandesi, ma ora – attraverso i tre stadi fondamentali del processo alchemico, ovvero Nigredo [putrefazione], Albedo [purificazione] e Rubedo [ricomposizione] – tale stato naturale era stato sovvertito, sancendo così l’atto di nascita dell’ hákarl . Il processo di lavorazione tradizionale perfezionato prevede che, decapitato e privato delle interiora, il Cethorinus maximus venga interrato in una buca ghiaiosa e ricoperto da un masso per alcune settimane. In questo lasso di tempo la carne subisce la perdita dei fluidi e le mutazioni chimiche legate al processo di fermentazione hanno luogo. Vengono così neutralizzati urea e ossido trimetilamminico, responsabili della tossicità della carne fresca. Una volta riesumato, tranciato e messo ad essiccare all’aria in capanni strategicamente costruiti a notevole distanza dai centri abitati, quel che resta dello squalo perde un terzo del peso e raggiunge la maturazione. Al termine di questo processo la carne avrà assunto i tre colori degli stadi alchemici: il nero e il rosso dello strato esterno e il bianco della carne interna. Ma la pietra filosofale islandese può rappresentare una grande sfida per il neofita che voglia averla tra le mani. Sembra infatti che quello che molti considerano l’alimento umano dall’odore più mefitico in assoluto, dovuto principalmente al contenuto di ammoniaca che infesta la carne fermentata, sia secondo solo al suo sapore. Oggi l’hákarl è in vendita ovunque in Islanda, essendosi tramutato in una sorta di attrazione turistica culinaria, ma tradizionalmente la sua consumazione avviene in situazioni sociali come il Þorrablót , festival di metà inverno che celebra l’ ethos islandese. Mangiare l’hákarl è considerato un atto di coraggio ed è sempre accompagnato da un cicchetto di brennivín , il più famoso distillato dell’isola, che aiuta a mandar giù l’amaro boccone. Che si sfidi la sorte con la sua versione più vetrosa, glérhákarl , o con quella soffice detta skyrhákarl , provare l’hákarl può rivelarsi uno choc culturale per il palato, contro il quale poco potrebbe fare anche una defunta scienza esoterica. capitolo I: l’hákarl islandese
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